Scopo dello stage di sperimentare nuove tecniche di esplorazione speleosubacquee, sistemi di rilevamento e tecniche di soccorso.

È necessario per il nostro team aggiornare la pratica e consolidare le metodologie che di seguito verranno impiagate in attività ad alto rischio svolte in aree remote della terra.

La scelta per lo stage è stata la Sardegna in considerazione di vari fattori quali: vicinanza, morfologia e supporto da gruppi locali.

Il Golfo di Orosei, situato nella Sardegna centro-orientale, ricade prevalentemente entro i confini dei comuni di Dorgali e Baunei; la costa è particolarmente ricca di cavità carsiche, oltre un centinaio, famose in tutta Europa per la straordinaria bellezza e per la limpidezza dell’acqua, con svariati chilometri di gallerie inondate. Teatro perfetto per organizzare delle simulazioni esplorative e di rilievo.

Talvolta si tratta di veri e propri estuari sotterranei, i più grandi d’Italia, scoperti grazie a lunghe e complesse esplorazioni speleologiche e speleosubacquee

Il Golfo è caratterizzato da una costa alta e rocciosa, a falesia, che raggiunge in alcuni punti un’altezza di oltre 600 metri e che si estende dal villaggio di Cala Gonone a Nord fino a quello di Santa Maria Navarrese a Sud, per una lunghezza complessiva di circa 40 km.

La costa è interrotta talvolta da spiagge sabbiose corrispondenti alle foci dei profondi canyons carsici che solcano i calcari mesozoici.
Sulle superfici verticali delle falesie sono incisi più solchi di battente, individuabili fino alla quota + 15 m, che testimoniano le variazioni del livello di stazionamento del mare durante i periodi interglaciali quaternari.

Questi elementi coincidono con alcune aree oggetto delle prossime esplorazioni del team, in special modo le grotte patagoniche e quelle situate sulle Ande boliviane nella regione di Ancuma, aree in cui sono programmate future esplorazioni in chiave 2020.

Nella fascia costiera ritroviamo più numerose e imponenti le manifestazioni ipogee; la mancanza di una rete idrografica superficiale ha d’altro canto favorito nei calcari lo sviluppo di una circolazione idrica sotterranea, alimentando numerosi corsi d’acqua che caratterizzano imponenti sistemi ipogei, la cui evoluzione è stata influenzata dalle forti oscillazioni quaternarie del livello marino negli ultimi 500.000 anni; ne sono un esempio le gallerie sommerse del ramo nord delle Grotte del Bue Marino, al cui interno sono visibili i segni di un concrezionamento avvenuto in ambiente subaereo, quando il livello del mare era più basso di quello attuale.

L’inizio della formazione dei sistemi carsici nel Golfo di Orosei risale con ogni probabilità all’Eocene (55 milioni di anni), con un’accelerazione nel Mio-Pliocene (tra i 25 ed i 6 milioni di anni).
Ma le fasi carsiche più intense sono verosimilmente inquadrabili in uno o più periodi piovosi interglaciali del Pleistocene (circa 1,8 milioni di anni).

Successivamente il mare si è progressivamente abbassato, infatti, le grotte sommerse del Golfo si sviluppano con profondità che vanno dai a -30m fino ai -80m circa, testimoniando che il livello di base è rimasto al di sotto di queste quote per un periodo abbastanza lungo.
Queste profondità, ci permettono di simulare tecniche di soccorso e recupero subacqueo utilizzando tecnologie non convenzionali e di difficile messa a punto

Territorio ideale per sviluppare nuove conoscenze, che abbiamo cercato di concretizzare con questo stage.
Le immersioni in queste grotte vanno affrontate con attrezzature e tecniche particolari, al fine di ridurre i rischi che tale attività comporta.

Durante lo stage abbiamo ripassato le principali tecniche speleosub, aggiornandole agli ultimi protocolli operativi, ed in particolare abbiamo:

  • Testato la conoscenza delle nostre attrezzature, il proprio funzionamento e la miglior dislocazione sul corpo.
  • Valutato le diverse programmazioni operative.
  • Aggiornato l’uso della sagola guida nelle varie casistiche , testando i vari sistemi di fissaggio considerando la distanza progressiva e la direzione di uscita.
  • Sperimentato l’utilizzo di 2 bombole indipendenti, con protezioni per la rubinetteria, erogatori indipendenti e affidabili muniti di manometri ridondanti.
  • Collaudato le tecniche di consumo aria pari a tre terzi e cinque quinti, tecniche che limitano la progressione ma garantiscono un buon margine di sicurezza.
  • Sperimentato con successo l’uso di nuove fonti luminose a led dell’ultima generazione
  • Valutato la miglior allocazione di alcuni strumenti ( braccio-casco)
  • Testato con difficoltà sistemi di respirazione a circuito chiuso.


Lo stage si è concluso con successo, i dati raccolti ci permetteranno di evolvere le nostre tecniche e di garantire maggior sicurezza in attiva esplorative.
Valuteremo in funzione dei risultati raggiunti quali modifiche apportare alle nostre procedure ed alle nostre attrezzature, anche in funzione delle difficoltà oggettive che affrontiamo nel realizzare esplorazioni e ricerche in aree remote della terra.

Attività di verifica potenziale didattico

Lo stage in Messico ha concretizzato due obiettivi, il primo di carattere socio divulgativo/didattico e il secondo di carattere esplorativo preliminare, onde prendere contatto con le varie realtà del paese ed individuare aree di potenziale interesse operativo pluriennale.

Abbiamo valutato la possibilità di strutturare, con la collaborazione di gruppi locali, una logistica adeguata e completa per poter organizzare, in completa sicurezza e sotto l’egida dell’Associazione Nazionale di speleologia corsi a tutti i livelli, stage di specializzazione e perfezionamento, training e retraining per speleosub, aiuto istruttori e istruttori, incontri con gruppi speleosub per poter pianificare esplorazioni e progetti di ricerca multidisciplinare.

Fondamentale saranno le valutazioni del potenziale morfologico e speleo subcqueo proprie dello Yucatan, ed infine strategico per la nostra Associazione rappresentare un’ulteriore crescita professionale e diplomatica che potrà garantire grande visibilità alla speleologia subacquea Italiana in ambito internazionale, anche in funzione dei numerosi progetti in essere, in aree remote della terra.

Abbiamo realizzato immersioni propedeutiche nei Cenotes di Ignacio Mulix, X batun, Ik -kile e Bolonk yol per verificare la possibilità di organizzare corsi di primo e secondo livello.

Altre immersioni sono state effettuate nei Cenote Sutyun e Dos oios per verificare la possibilità di organizzare corsi per istruttori speleo sub.

Globalmente sono cavità che si prestano a stage e corsi con la possibilità di simulazioni plurime, derivanti dalle ottime condizioni legate alla visibilità ed alla temperatura dell’acqua.

Anche il fattore sicurezza è positivo in relazione alla morfologia delle aree ed anche dal fatto che è presente in loco un’ottima organizzazione di soccorso con medici preparati che si avvalgono anche di camere iperbariche di ultima generazione.

Le attività didattiche che potremmo organizzare sono:

1          corsi di speleologia subacquea basici, primo e secondo livello

2          corsi di specializzazione speleo sub, primo e secondo livello

3          corsi Istruttori

4          corsi di addestramento su nuove tecniche si speleo soccorso

Globalmente l’esperienza legata alla verifica della possibilità di effettuare stage e corsi è positiva, i gruppi contattati hanno assicurato il loro supporto, e sarà nostra premura, una volta condiviso l’esperienza con il direttivo, valutare se proseguire in questo progetto.

Attività di verifica potenziale esplorativo

L’obiettivo di carattere esplorativo preliminare è stato sviluppato percorrendo complessivamente 1800 chilometri, operando in due zone con caratteristiche geofisiche e morfologiche ben distinte: la costa meridionale del Quintana Roo, la costa settentrionale dello Yucatàn

La prima è caratterizzata da un carsismo sommerso con cavità poco profonde ma con grandissime estensioni orizzontali. Vi si trovano complessi subacquei lunghi 30 40 km e l’area risulta ben esplorata solo nella fascia di foresta adiacente alle strade. La penetrazione nella foresta risulta pero difficoltosa ed è controllata dagli americani che tendono ad acquistare i terreni per monopolizzare, a fini turistici, le esplorazioni. Bypassare questo monopolio non è impossibile ma bisogna operare con l’elicottero, affrontando un forte incremento di spesa.

La seconda presenta un carsismo sommerso con cavità apparentemente a sviluppo verticale più accentuato rispetto quelle della costa meridionale. Poco turisticizzata dispone di buone infrastrutture (camera iperbarica a Tizimin) risulta poco esplorata ed offre notevoli possibilità senza grossi problemi logistici, la terza area a nord Yucatan presenta un carsismo sommerso apparentemente a carattere prevalentemente verticale. Ha turismo inesistente, risulta assolutamente inesplorata, presenta totale assenza di infrastrutture ed anche discrete difficoltà logistiche, ma indubbiamente situazioni di altissimo interesse esplorativo anche archeologico e non solo subacqueo

Nelle tre aree sono stati superficialmente esplorati 8 cenotes vergini, ed individuati ma lasciati inesplorati altri 4. Le esplorazioni effettuate nella seconda zona hanno avuto come base il villaggio di Yokdzonot Presentados, nei cui dintorni la popolazione ci ha segnalato l’esistenza di altri 130 cenotes, sparsi nella foresta e di almeno una grotta subaerea piuttosto estesa di grande interesse archeologico.

Abbiamo raccolto un gran numero di informazioni e valuteremo in seguito se si concretizzeranno le condizioni per effettuare un progetto esplorativo, visto l’immenso potenziale speleologico e soprattutto archeologico.

Abbiamo organizzato uno stage a Stromboli in funzione delle prossime esperienze che ci vedranno impegnati in esplorazioni sistematiche dei tunnel lavici a Pantelleria, in collaborazione del geologo Fulvio Fonseca per realizzare uno studio dettagliato patrocinato dal Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza Università di Roma.

La scelta dell’isola siciliana è ovvia in quanto le condizioni morfologiche e geologiche sono assolutamente similari a quelle che incontreremo nelle prossime esperienze. Potremo testare apparecchiature e tecniche di rilievo in ambienti confinati unici al mondo.

Durante lo stage abbiamo simulato l’esplorazione e il campionamento di alcuni tunnel di lava inseriti in un imponente complesso vulcanico sottomarino che si eleva dal fondo del mare per circa 2000 metri. La nascita di questi vulcani è legata alla formazione di una vasta area distensiva nel Canale di Sicilia con andamento NO-SE. Questo fenomeno, attivo fin dall’inizio del Pliocene, ha comportato la formazione del rift del canale di Sicilia.

I dati sismici hanno permesso di ricostruire la morfologia dei fondali attorno all’isola, dalla batimetrica dei 20 metri fino a quella di 1300 metri. Sono stati utilizzati anche i dati batimetrici acquisiti recentemente, che ci hanno permesso di definire un piano didattico coerente alle nostre esigenze, inoltre abbiamo simulato il rilevamento Geologico di Campagna sia nella fascia costiera emersa sia nella parte sommersa prossima all’Isola, focalizzandosi nei settori NW e NE dell’Isola.

Sono stati esplorati i tunnel di lava attraverso tecniche tradizionali di speleo-subacquea, simulando la possibilità di svolgere in piena sicurezza uno stage di sricerca e esplorazione speleologiche subacquee.

Per poter procedere in sicurezza all’interno di queste cavità sommerse è stata posizionata l’estremità di un “filo d’Arianna” nell’ingresso principale. Questo filo è stato raccolto e rimosso una volta conclusa l’esplorazione delle cavità. Per effettuare il rilievo dei tunnel di lava sono stati utilizzati vari strumenti di misura, quali sagole e fettucce metriche. È stato anche utilizzato il “Personal Dive Sonar” tecnologia essenziale per questo tipo di esperienze, peraltro già testate nelle esplorazioni endoglaciali in Islanda.

Abbiamo ricevuto una straordinaria collaborazione da parte degli abitanti del luogo che hanno agevolato il nostro stage mettendo a disposizioni barche e personale di supporto.

Parte della strumentazione utilizzata per il rilevamento geologico nelle campagne di campionamento è stato testato in precedenti spedizioni, in particolare quelle realizzate nel lago Titicaca in Bolivia. Il rilevamento è stato condotto sia nel settore costiero dell’isola che nella zona sommersa di basso fondale in prossimità dell’Isola. Il mare attorno l’isola di Stromboli è considerabile un “laboratorio naturale”, meritevole di studi scientifici, anche di carattere sperimentale.

Lo stage ha permesso dimestichezza con tecniche di misurare, esplorazioni in cavità confinate e raccolte di campionature, riportate in superfice utilizzando palloni di sollevamento subacquei di piccole dimensioni.

Abbiamo testato anche l’utilizzo di sorbone subacquee ed apparati di comunicazione subacquea per permettere il collegamento tra subacquei e superfice.

Attraverso i dati batimetrici raccolti e le ispezioni dirette, è stato possibile osservare la presenza di un’estesa “frattura”

Si ipotizza che questa si sia formata a seguito del collasso del tetto di un tunnel di lava, mettendo in evidenza la parte interna del tunnel stesso. Questo tunnel di lava presumibilmente si estende oltre i 155 metri e ci sono evidenze che si sia formato in ambiente subaereo e non subacqueo, come invece si trova oggi.

Lo stage si è svolto contemplando le necessarie misure di sicurezza ed è sicuramente propedeutico alle prossime spedizioni.

La decisione di realizzare una spedizione in Bolivia e in Cile rappresenta una continuità del progetto Atahualpa, che ci ha permesso di ampliare le nostre esperienze multidisciplinari.

Questa breve relazione preliminare illustra le dinamiche esplorative sviluppate prima nel Salar di Uyuni, poi nei deserti di Atacama ed infine sulla sommità del vulcano Licancabur.

In tre settimane abbiamo affrontato varie difficoltà, percorso quasi 5000 chilometri e siamo passati dalle temperature torride dei deserti alle temperature glaciali registrate sulla sommità del vulcano Licancabur.



Abbiamo attraversato il Deserto di Salar di Uyuni e mappato le grotte in corallo scoperte cinque anni fa in aree remote con un potenziale immenso.

Tre obiettivi in contemporanea, nel corso dello stesso viaggio, per continuare l’esplorazione e la documentazione topografica delle cavità parzialmente esplorate nelle spedizioni precedenti, come la Cueva des Estrellas e la Cueva Coral

L’insidia principale sono state le temperature – che di giorno hanno raggiunto i 50°C al suolo! – e la completa assenza di acqua, che ci hanno obbligato a muoverci con una logistica medio leggera operando le ricognizioni di superficie durante le ore più “fresche” per poi esplorare le cavità al riparo dal sole atacameno.

Concludiamo questa prima parte della spedizione con un buon bottino, scoperte 4 nuove grotte con potenziale medio alto ed allacciato relazioni con un gruppo speleo che ha mostrato grande disponibilità a realizzare spedizioni congiunte.

La seconda parte ci vede impegnati nel salar di Uyuni, la più grande distesa salata del pianeta, regno surreale di miraggi con il suo paesaggio secco che riflette il cielo come se fosse uno specchio, un luogo inquietante e unico che vogliamo esplorare per valutare la possibilità di realizzare una grande spedizione speleologica con i nostri gli amici, le guide del parco nazionale di Torotoro, splendide persone con cui abbiamo già diviso un sacco di esperienze.

Il salar è maestoso e sotto la volta del cielo dell’altopiano boliviano, a più di 3600 metri di altitudine, ricopre un’area di 12000 chilometri quadrati. Dobbiamo utilizzare i GPS per la navigazione perché in alcuni momenti si perdono gli orizzonti.

Al centro del, si trova la Isla Incahuasi punteggiata di cactus: un’isola verde che offre un panorama a 360 gradi. Con una camminata di trenta minuti si raggiunge la cima e si può ammirare il panorama a tutto tondo, ci fermiamo un giorno ed allestiamo il campo base, nella notte i generatori ci permettono di caricare le batterie delle attrezzature speleo e dei droni che ci aiuteranno a sorvolare e documentare le aree circostanti Tupiza per trasferirci successivamente verso i geyser e le lagune Colorada e Verde.


L’area dove abbiamo svolto la seconda parte della spedizione è all’interno dei 70000 metri quadri della Reserva Nacional Fauna Andina Eduardo Avaroa.

Ci spostiamo successivamente nella regione di Los Lipez, area rocciosa dove documentiamo nei pressi di San Huan delle tombe di epoca precoloniale scavate nel corallo.

Ci trasferiamo infine a sud ovest del Salar tra i geyser del Sol de Mañana. Pozze di fango che ribolle, zampilli che schizzano verso il cielo, fumarole infernali e spruzzi di vapore a più di 4800 metri di altitudine. Viviamo un’esperienza intensa in una mattina gelida, ma che sarà presto ripagata quando, a fine giornata ci immergiamo nelle vasche naturali di acqua calda.

Nel frattempo abbiamo raggiunto le pendici del Licancabur terzo obiettivo della spedizione, sono oramai 8 giorni che siamo alla quota di circa 4500 metri sul livello del mare, e questo periodo ci aiuta nel processo di acclimatamento, fondamentale per affrontare le fatiche degli ultimi giorni.

Due giorni di preparazione per la salita alla cima del vulcano per poi scendere nel cratere ed immergersi nel laghetto centrale per la seconda volta al mondo,

Valutiamo con accuratezza le attrezzature da trasportare che sono molte e pesanti, e decidiamo come la volta precedente che solo un esploratore realizzerà l’immersione per documentare alcune strutture intraviste nel 2014. Rinunciamo ad utilizzare i droni, ci sono venti fortissimi e si rischia di perderli.



Partiamo all’alba e raggiungiamo la vetta dopo circa 7 ore, poi un paio di ore per creare un foro nella superficie ghiacciato dello specchio d’acqua che si trova al centro del cratere, la temperatura esterna e meno 20 gradi e quella dell’acqua raggiunge a malapena i 2 gradi.

Splendida e impegnativa immersione, peccato che la macchina fotografica congela e non funziona, quindi niente immagini del fondale.

30 minuti di immersione, rilevazioni topografiche delle strutture sommerse e poi veloci fuori a cambiarsi per iniziare la discesa, che dura circa 5 ore.

Rientriamo al rifugio a notte fonda con temperature polari e stanchezza estrema.


 

La spedizione Uyuni 2017 è terminata con successo, i dati raccolti ci permetteranno di approfondire teorie e fare delle pubblicazioni.

E’ confermato un grande potenziale, ed è auspicabile programmare una successiva spedizione.

PERU’ (ALLA RICERCA DI PAIKIKIN)


Dal lago Titicaca il gruppo è andato alla volta di Macchu Picchu, ultima città dell’Impero Inca, conosciuta da alcuni anche come Eldorado oppure Paititi. Grazie all’aiuto di caricatori locali gli esploratori si sono addentrati in una porzione di selva vergine verso la zona sud-est della regione, attraverso luoghi difficili.


Un po’ di storia: l’Impero Inca cominciò ad annettere porzioni della selva amazzonica a partire dal XIV secolo, col sesto imperatore Inka Roka, e questo dominio forestale fu chiamato Antisuyu (“Territorio orientale”), da cui derivò il nome delle Ande.
La massima espansione imperiale avvenne nella seconda metà del XV secolo, col decimo sovrano Tupaq Yupanki (1471-1493), e la porzione di selva prossima a Macchu Picchu, dove è stata costruita la città di Paikikin.


Quando i conquistatori spagnoli razziarono il dominio incaico, un gruppo di superstiti riuscì a fuggire nella selva per rifugiarsi a Paikikin, portando con loro un grande tesoro, costituito non solo da pietre e metalli preziosi, ma anche da importanti conoscenze di varie discipline quali medicina, metallurgia, agricoltura, architettura sacra, geologia, biologia, astronomia-astrologia e misticismo-magia. Col passare del tempo, la regione fu sostituita dalle nuove regioni in cui gli spagnoli suddivisero il Perù, ma il nome della stessa sopravvisse, infatti venne attribuito a Paikikin.


La spedizione ha individuato vari settori dal potenziale archeologico nel Santuario Nazionale del Megantoni, luoghi raggiungibili solo camminando per diverse decine di chilometri attraverso la selva alta.

Vista la natura pionieristica dell’esplorazione e per la mancanza di sponsor, il progetto poteva essere posticipato o annullato, ma abbiamo deciso anche in un contesto contenuto di personale (autofinanziati) di procedere con la spedizione.

Nonostante l’Altopiano sia il luogo che attualmente ha le maggiori probabilità di ospitare le vestigie del sito archeologico perduto, non si è purtroppo riusciti a trovarlo. C’è comunque l’intenzione di tornare sui luoghi, magari in collaborazione con altre Associazioni di Ricerca e esplorazione.