Atacama/Salar Uyuni 2017
Deserto di Atacama, Cile, dicembre 2017
Salar de Uyuni 2017: Odissea tra Ghiaccio e Fuoco
La spedizione del 2017 in Bolivia e Cile non è stata una semplice gita, ma il ruggito del progetto “Atahualpa” che ha spinto i soci di AKAKOR GEOGRAPHICAL EXPLORING, Lorenzo Epis e Claudia Sandrini, oltre i confini dell’esperienza multidisciplinare. In sole tre settimane, abbiamo inghiottito quasi 5000 chilometri di terra selvaggia, lanciandoci in una folle corsa che ci ha strappato dai 50°C roventi dei deserti fino al gelo artico che strangolava la vetta del vulcano Licancabur.
Questa relazione è una traccia preliminare delle nostre audaci ricognizioni: prima l’immensità abbagliante del Salar de Uyuni, poi il cuore arido del Deserto di Atacama e, infine, l’ascesa al sacro e gelido Licancabur.
Il Regno del Sale e le Grotte Nascoste
Uno dei nostri obiettivi primari era il Deserto del Salar de Uyuni. Abbiamo attraversato la distesa salata e mappato in dettaglio le grotte di corallo scoperte cinque anni fa, veri scrigni nascosti in aree remote dal potenziale speleologico immenso. Il triplice obiettivo di questa missione – continuazione dell’esplorazione, documentazione topografica e ampliamento delle mappe di cavità come la Cueva des Estrellas e la Cueva Coral – ci ha spinti al limite.
L’insidia più brutale? Le temperature. I 50°C registrati al suolo di giorno e l’assenza totale di acqua ci hanno imposto una logistica ultraleggera e un ritmo forsennato: ricognizioni di superficie solo nelle ore “più fresche”, per poi scendere nelle cavità, al riparo dal sole impietoso dell’Atacama, dove si nascondeva l’ombra.
Nonostante l’inferno termico, la prima parte della spedizione si è chiusa con un bottino prezioso: quattro nuove grotte di alto potenziale e l’avvio di una promettente collaborazione con un gruppo speleologico locale.
Il Salar: Specchio del Cielo e Sogno Speleologico
La seconda fase ci ha catapultati nel cuore del Salar de Uyuni, la più vasta distesa salata del pianeta: 12.000 chilometri quadrati di paesaggio surreale, regno di miraggi dove l’orizzonte si dissolve e il suolo riflette il cielo come uno specchio inquietante. A oltre 3600 metri di altitudine, in questa maestosità che confonde i sensi (rendendo il GPS indispensabile), ci siamo mossi con un sogno: valutare la fattibilità di una grande spedizione speleologica con i nostri amici, le guide dal cuore d’oro del Parco Nazionale di Torotoro.
Al centro di questo vuoto, l’Isla Incahuasi, un’isola verde di cactus secolari, ci ha offerto un panorama a 360° e un rifugio per il campo base. Sotto il cielo stellato dell’altopiano, i generatori ronzavano, caricando le batterie di attrezzature speleo e dei droni destinati a sorvolare le aree circostanti Tupiza, preludio al trasferimento verso il ribollente inferno geotermico.
Abbiamo setacciato i 70000 metri della Reserva Nacional Fauna Andina Eduardo Avaroa, addentrandoci nella rocciosa regione di Los Lipez, documentando perfino tombe precoloniali scavate nel corallo nei pressi di San Juan.
Il Tuffo Finale nel Cratere Ghiacciato
L’ultima, estenuante tappa ci ha portati a sud-ovest del Salar, tra i geyser del Sol de Mañana. A più di 4800 metri, abbiamo sfidato una mattina gelida in un paesaggio dantesco: pozze di fango ribollente, getti di vapore infernali che schizzavano verso il cielo. L’esperienza, intensa e quasi mistica, è stata ripagata a fine giornata con un tuffo rigenerante nelle vasche naturali di acqua calda.
Nel frattempo, il Licancabur, il terzo obiettivo della spedizione, incombeva. Otto giorni a 4500 metri sono stati l’ancora necessaria per l’acclimatamento, vitale per affrontare la salita finale.
Due giorni di preparazione meticolosa, per l’ascesa finale: raggiungere la cima e, per la seconda volta nella storia, immergersi nel laghetto centrale del cratere. Il peso delle attrezzature subacquee era schiacciante, e i venti così violenti da costringerci a rinunciare ai droni.
Partiti all’alba, abbiamo raggiunto la vetta dopo sette ore di fatica. Poi, la sfida più glaciale: due ore per forare la superficie ghiacciata del lago. La temperatura esterna era di – 20°C, l’acqua a malapena a 2°C.
L’immersione è stata splendida e brutale. Purtroppo, la fotocamera è congelata, negandoci le immagini del fondale. Trenta minuti di immersione, le rilevazioni topografiche delle strutture sommerse effettuate, e poi la corsa fuori, il cambio rapido, e cinque ore di discesa nel buio polare. Siamo rientrati al rifugio a notte fonda, con la stanchezza estrema incisa nelle ossa.
La spedizione Uyuni 2017 è stata un grande successo. I dati raccolti da Lorenzo Epis e Claudia Sandrini permetteranno nuove pubblicazioni e confermano un potenziale immenso. L’unica conclusione possibile è che una successiva spedizione è non solo auspicabile, ma inevitabile.